Anyway the wind blows...

Un compendio sul Nulla, dal Nulla per molti. A compendium about Nothing, from Nothing, for many.

Friday, January 28, 2005

Arriviamo al dunque e ricominciamo daccapo.

Tipica giornata londinese. Ho il mal di gola (tipico anche questo), ho la stanza sottosopra (abbastanza usuale anche cio' ma ormai resisto fino a quando cambiero' casa tra una settimana) e mi pongo qualche domanda.
Il tutto e' contorniato dallo splendido album "Map Of What Is Effortless", non piu' nuovissimo, dei Telefon Tel Aviv. Sembra davvero che la musica respiri al battito di vibrazioni basse e calde, mentre le voci si sciolgono e si spandono tiepide su di un'armonia soffusa immersa in un ritmo da "placenta". Credo proprio che un bambino concepito e cullato con "Bubble And Spike" venga su meglio. Me lo devo segnare.

Ora e' giunto il tempo per la mia band di suonare live. Dopo 3 mesi di prove, registrazioni, kilometri, benzina, birra e sonno abbiamo di fronte una manciata di concerti nella zona di Birmingham in attesa che il CD esca e lo si possa distribuire ai vari promoters sparsi di qua e di la'. Vediamo come va.

  • Lunedi' ho avuto la possibilita' di vedere all'opera i Napalm Death (la recensione e' qui)

Non e' il momento di scrivere poesie; solo pensieri sparsi.

e ora tenebra.
quando la luce si spacca
e i cristalli si perdono in un crepitio sommesso
di gocce che svaniscono
mentre al sole non resta che chiudersi
tra le labbra distratte di un bambino

io gioco.
nel flusso astratto di schemi
ho perso i tempi
che gremivano spazi sempre più miei
lasciando una sola onda nello spazio esteso delle domande inverse
dove la genesi era ruota e il nulla la strada
verso un' assurda guerra di fiumi in piena e argini tranquilli
dando vita all'estremo Io
partorito dal tumulto sonoro

tu sei la bellezza tra meccaniche disarmoniche
in ogni luogo in questo mondo
dalle rive agli estremi di uno spazio segreto
racchiuso nell'istante in cui qualcosa cadde senza più fermarsi
ed i valichi si chiusero dinanzi al tempo

vedi accendersi luci oscure
mentre lampi di nuova vita irrompono dalla linea della pioggia
che fredda separa il cielo dal mare

tra fiori e torri e noi due
non c'è che il tempo
di restare dove siamo
di aspettare piogge estive e luoghi nuovi

mentre la tenebra si scioglie al tuo sguardo
e i tuoi occhi chiusi aprono l'eterno

Alex

n.p.: Telefon Tel Aviv - Map Of What Is Effortless


Saturday, January 22, 2005

Riportando tutto a casa.

La musica dei Van Pelt, le serate in macchina per tornare dalla sala prove a Morena su di una Via Anagnina fin troppo svuotata del suo movimento immobile circolatorio, ininterrotto e percio’ rassicurante, i semafori spenti e le cornetterie accese, le puttane, il silenzio, il battito delle dita sul volante e qualcuno che dorme di giá.
A volte mi domando quanta musica abbiamo conosciuto sull’asfalto oleoso e graffiato dal tempo di quella strada, quante impressioni ci siamo scambiati mentre le orecchie sembravano appena riprendersi dallo sbattere del rullante contro le bacchette, dall’onirica dimensione nella quale ci cacciavamo ogni volta che ci si chiudeva la porta (prima una, poi l’altra) alle spalle per qualche ora.
Forse si andava a suonare proprio per tornare e ricreare una sorta di faló mobile sul quale appesantire i ricordi lasciandoli chiusi nella scatola ideale di un mondo ancora non virtuale ma di sicuro esclusivamente nostro.
A quella strada (qualunque essa sia – potrei anche sbagliarne il nome) devo e dobbiamo: i Sophia, i Mogwai, i Don Caballeros, i Korn, i Deftones, i System Of A Down e Jeff Buckley, i Karate, i Dianogah, i Limp Bizkit ed almeno due CD dei Downset. Gli At The Drive In, i Massive Attack, i Life Of Agony e tutti gli altri che stroncammo dopo due battute.
Non ho nostalgia ed il mondo ha continuato a girare anche senza di noi su quella strada di notte. Eppure erano i momenti migliori e non c’era niente e nessuno che ci potesse insegnare la “critica musicale” perché la musica non apparteneva a nessuno e si prestava al gioco. Poi tutto finí come giusto e la strada resta ancora lí ferma al suo posto. Io non ho resistito.

N.P.: Van Pelt – Sultans Of Sentiment

Thursday, January 20, 2005

Un campionato a 20 squadre con 47 telecamere a bordocampo mi fa sorgere un dubbio: avremo bisogno della prova del campo per smentire/condividere la prova-TV? Mi dovranno spiegare che Ferrari e' davvero al centro della difesa e non e' soltanto una proiezione di Mediaset o Sky (magara...). Non mi piace piu'. Non mi piace Di Canio (da queste parti e' diventato una barzelletta) e non mi piace Lucarelli; non mi piace la Juve e non mi piace pensare che Ferrari esista veramente. Non mi piacciono un sacco di cose eppure esistono cosi' come esitono quelle che incontrano il mio piacere. Voglio 47 telecamere puntate su di me il Lunedi' mattina e qualcuno che mi convinca che il ritorno in ufficio non e' una proiezione di Mediaset. E voglio Berlusconi che mi porti il caffe' alle 11 in punto. Poi mi sveglio tutto sudato. Buonanotte.

Alex

n.p.
Jaga Jazzist: A Livingroom Hush

Tuesday, January 18, 2005

Della rabbia, della violenza e delle cento cose che non voglio capire

C’è della violenza nella musica di Coltrane. Ci sono momenti in cui le sue sfuriate penetrano la rabbia e la modellano ad arte (in ogni senso proprio ed improprio della frase) costringendo anch’essa a rapportarsi al “bello” per diventare “capolavoro”, istinto non piú primitivo ma a forma ed immagine dell’uomo e della sua potenza.
Forse nessuno da queste parti è un genio e non ha mai neanche sognato di esserlo (si fa giá fatica ad amministrare il 20% della materia cerebrale gentilmente concessaci in leasing…) ma c’è un momento del favoloso concerto all’Olympia di Parigi nel ’60 che mi piace ascoltare e riascoltare. Non ricordo bene quando accade ma dovrebbe essere intorno agli 8 minuti dall’inizio della prima traccia del primo CD: Miles Davis ha appena terminato il suo assolo e, come faceva di solito al cospetto di cotanto sideman, esce in silenzio dal palco per lasciare John al cospetto del pubblico (o viceversa – questo non me lo so spiegare).
Coltrane prende in mano la band, la lascia sfogare per pochi secondi e parte con un assolo che ricalca piu o meno gli stilemi degli standard del tempo. Ad un certo punto inizia a tirare fuori quanto di meglio gli girava per la testa: note a metá, 3 note insieme, le sue famose “sheets of sound” e il Mondo giá inizia a girare in maniera diversa.
Partono i fischi, insulti, la gente che gli urla contro: ed è quanto di piú bello potessero regalargli perché vuol dire che sta andando per la sua strada, che quello che sta facendo non lo possono fare in molti e, comunque, non l’ha mai fatto nessuno prima. Il suo carattere remissivo gli permette di andare avanti non per molto – ma il dado è tratto e nessuno fermerá piú quel ragazzo ed il suo talento.

Oggi la Gran Bretagna ha vissuto, a suo modo, un giorno storico. Tutte (o quasi) le radio commerciali del Regno hanno trasmesso una sorta di Telethon (Radio-Aid, pardon) in cui conduttori vari ed eventuali, noti e non, facevano il loro bravo mestiere intervistando personalitá politiche (ho ascoltato l’intervento di Tony “nunjelafacciopiú” Blair in studio), musicali (un Phil Collins alla canna del gas in uno chalet svizzero) e roba che non puó dire molto a chi non vive da queste parti come Ricky Gervais, Jamie Cullum e cose cosí.

Ci sono mille contraddizioni e la prima domanda è questa: perché darsi tanto da fare per il sud-est asiatico quando nessuno se ne frega molto dello sfruttamento della Nigeria, della causa dell’Ulster, del Tibet, dei mille disastri che colpiscono parti recondite della stessa Asia ? Mi verrebbe da rispondere: perché è morta una vagonata di occidentali e quelli rimasti vivi ad Ovest sono disperati perché se non riaggiustano tutto al piú presto non sanno dove andare in vacanza. Non sono cosí malizioso e non lo dico. Non lo devo dire.

La caritá odiosa di chi ti chiede i soldi tra uno spot e l’altro, le frasi fatte (“we have to come together”, we need your help”, “let’s join our forces”) non le reggo per piú di due minuti, le signore intervistate per strada che ti dicono che hanno svuotato il loro conto in banca per donarlo a chissá chi e chissá dove, il Comune di Londra che ti rapina di £1,20 per una corsa in autobus e poi regala qualche migliaia di pounds, i bambini sbattuti in prima pagina mentre generazioni sono state sistematicamente stuprate dagli uomini in calzoncini caki e polpacci bianchi. Non è da me essere retorico ma la retorica oggi è tutto perché tutto è marketing e se non lo accetti sei fuori. A me il maremoto non ha scosso piú di tanto. L’ho detto.

N.P. John Coltrane - Blue Train

Sunday, January 16, 2005

Delle presentazioni e della noia.

Vediamo se ci riesco. Vediamo se posso finirla di chiedermelo e me lo regalo una volta per tutte questo benedetto Blog. Forse e' quel momento dell'anno in cui i propositi cominciano a collimare con le ragioni e le spinte del Bene Intimo fino a sospingere la volonta' li' dove non riesce a vedere perche' troppo ben cullata dalla Pigrizia e la poca voglia di fare.
Non riesco a staccarmi da Coltrane e la cosa inizia ad assumere un profilo maniacale, stranamente erotico tra l'emotivita' e quel suono ora lieve, ora assillante e angelico, poi sinuoso ed ancora lieve e solare. Sto iniziando a capire solo ora il Jazz e non mi sembra di partire dalle basi, dai concetti-chiave che lo hanno reso la "musica classica" dei nostri tempi. Faccio fatica ma non e' nulla se paragonata alla gioia di lasciare che capolavori come "Blue Train" e "Giant Steps" scorrano sottilmente dove nessun'onda aveva mai battuto e cosi' lontano da ogni raggio d'azione mai sfiorato prima.

Un libro puo' fare molto; questo di Ashley Kahn che sto leggendo ora e' quanto di piu' "bello" ci sia in questo periodo nella mia vita oltre al Jazz. E oltre ad un altro paio di cose. Ma quella e' un'altra storia. Ed una manciata di altri post. Buonanotte.

Alex

Now playing: Thelonius Monk & John Coltrane (1957)