Il sibilo dall'atollo.
É vero, l’America non ci fa compassione. Non ci sono mai stato e lo faró molto presto per lavoro; eppure non riesco a rattristarmi per gli americani. Il mio non é un sentimento dettato dall’odio politico, bensí da una mera constatazione egoistica e relativista.
Ieri sera ho voluto dedicare qualche mezz’ora a quello che é successo a New Orleans perché non capivo cosa avesse di cosí diverso questa catastrofe dalle altre mille che da sempre affliggono le coste americane. Di diverso c’é che la violenza degli uragani é cresciuta a dismisura negli ultimi 100 anni e per questo non dobbiamo ringraziare la malasorte o l’ira divina bensí le condizioni disastrate in cui versa l’ecosistema ed il fatto che, ad oggi, non ci sia un vero e proprio piano che ne gestisca i bisogni e che prenda atto delle sue necessitá al fine di scongiurarne la fine.
L’America in tutto questo ha un ruolo primario essendo lo stato piú inquinante del pianeta e di gran lunga il piú ricco – nonché, per stessa ammissione dei suoi vertici: il Giustiziere Ultimo e depositario della Veritá.
L’uragano Katrina ha colpito una delle zone piú povere degli USA in cui é visibilmente presente una enorme quantitá di neri e ispanici a fronte di una vera e propria minoranza di bianchi europei.
Non é possibile non notarlo in qualsiasi servizio alla televisione o foto su siti internet e giornali: New Orleans (ma anche il resto della Louisiana, del Mississippi, dell’Alabama) é un posto di serie B, un atollo di negritudine in un oceano bianco e mod-con, il ghetto dell’America e di cui la stessa America (come abbiamo visto) se ne frega altamente.
Certo é facile domandarsi se la stessa inettitudine nei soccorsi avrebbe mai potuto verificarsi in posti a maggioranza bianca e rispondersi: “no” ma proprio per questo motivo non voglio pensare che non sia stato fatto il possibile per far sí che centinaia (ma io credo migliaia) di persone (ergo voti) sparissero tra le acque torbide del dimenticatoio.
Ancora piú triste é il leggere che i soccorsi si sono arrestati a causa delle violenze scoppiate in cittá: sarebbe come dire che é meglio lasciare che la gente si sfoghi e ramazzi il piú possibile dai negozi perché solo quando avrá terminato la sua opera si potrá proseguire nel salvataggio di vite umane provate da giorni di fame e sete.
La New Orleans di questi giorni sembra una qualsiasi cittá della Liberia o del Rhuanda con le case crollate, la gente per le strade alla ricerca di cibo, I pianti dei bambini e la rabbia degli adulti.
Gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra al buon senso anni addietro ed ora ne pagano le conseguenze storiche in termini umani ed economici, eppure oggi un mio collega americano mi ha chiamato dalla quiete di Pittsburgh e mi ha detto che dalle loro parti si parla della possibilitá che New Orleans non rinasca piú, che nessuno vorrá ricostruire la vita su quelle macerie e sfidare ancora una volta la natura e che, a quanto pare, una larga maggioranza di abitanti (o ex abitanti) sceglierá di emigrare in qualche altro stato disperdendo cosí una comunitá storica e culturalmente florida come quella nera degli Stati del sud.
Se fosse un jazz sarebbe uno standard triste e vagamente ironico, disperato ma quasi rassegnato al suo destino. Piccoli olocausti di casa nostra che non fanno male e crepano dolci nella nostra indifferenza.
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