Anyway the wind blows...

Un compendio sul Nulla, dal Nulla per molti. A compendium about Nothing, from Nothing, for many.

Friday, July 08, 2005

Miracoli senza Dio

Dal mio posto in ufficio ad Heathrow posso scegliere se guardare lo schermo del computer o gli aerei che decollano a meno di 300 metri dal mio naso. Li vedo alzare il muso, li seguo mentre cercano di assestare la propria massa in equilibrio con la spinta dal suolo e li perdo di vista non appena richiamano a sé i carrelli e trovano la propria rotta in un cielo intasato eppure ordinato e chiaro come le nuvole che gli si stagliano qualche metro piú su. Ogni singola volta é sempre lo stesso pensiero che cattura la mia attenzione; ogni aereo che parte é un miracolo che si ripete: piú o meno quello che mi veniva in mente una settimana fa a Soho mentre aspettavo la metropolitana per tornare a casa.
Ero fermo sulla banchina e cercavo vigliaccamente (e a debita distanza) di scorgere i piccoli roditori che popolano le rotaie delle linee del Tube cercando di intuire di cosa si nutrano e come abbiano imparato a convivere con i treni che gli sferragliano sulla testa. Pensavo all’enorme massa di gente che ogni mattina si muove per andare da qualche parte e mi veniva in mente che ogni giorno che si apre e si chiude nella sua routine a Londra é sempre e comunque un piccolo miracolo.
Doveva capitare qualcosa di simile a ció che é avvenuto ieri per fermare in parte quest’opera divinamente umana, per rallentarne il meccanismo e ferire il cuore vivo e inconsapevole di un giovedí freddo e piovoso di Luglio.

Mi hanno avvisato dall’Italia di cosa stava accadendo, ho appreso le prime notizie riguardanti un guasto meccanico nella metro, poi una bomba su un autobus, poi il caos. Il mio 7 Luglio non ha visto morti, il sangue sulle banchine. Non ha udito sirene o toccato con mano la tensione. Il mio 7 Luglio ha avuto i ritmi blandi e sonnacchiosi di un enorme ufficio fuori dalla calca e l’unico rumore che sentivo erano i tasti delle tastiere, i discorsi di ingegneri e dei loro passi sulla moquette marrone di una palazzina incollata ad un aeroporto che non ha mai smesso di lanciare i suoi aerei al mondo. Qualcuno lo chiamerebbe fatalismo, altri noncuranza o peggio ancora. In realtá é il silenzio contro la paura, la ragione contro il caos e la sua deflagrazione irrazionale e violenta a cui offre il suo opposto il sensazionalismo acritico della stampa italiana, delle sue “decine di morti” dopo appena un’ora dal primo attentato, della totale assenza di un metodo informativo che non sia esasperato, virile, tragico, vuoto, italiano.
I telefonini non funzionano ma riesco lo stesso a ricevere messaggi di chi si preoccupa, di chi vede dall’Italia una cittá in ginocchio ed i volti nel sangue riemergere dalla cittá parallela sotto la superficie.


Termino il mio turno e mi preparo al traffico dell’esodo dagli uffici e ascolto la radio: gente che cammina sull’autostrada con i trolley per raggiungere l’aeroporto. Li vedo appena sotto di me che camminano lenti e in fila in un mare calmo di auto ferme.Il silenzio ancora una volta é la frase piú sincera per esprimere rispetto e cordoglio ben diversi dalla pietá e dalle inutili urla di chi é lontano e non puó vedere che Londra non si piega, che le file ordinate per prendere i battelli sul Tamigi raccontano di una civiltá ferita ma viva, di mille giorni ancora da perdere nella routine, la noia, la gioia e l’orgoglio di vivere in un posto davvero speciale per motivi che é difficile spiegare ma vivono anche del muto dolore che Londra si lascia dietro ancora una volta restando in piedi. A volte i miracoli sono cose davvero semplici.